I 10 anni di Festival delle Arti
Non si può dire che non ci siamo impegnati.
Ora a 10 anni dalla prima edizione è giunto il momento della riflessione e dei consuntivi.
La crisi che attanaglia e taglia tutto ciò che attiene alla cultura ci spaventava e come conseguenza avevamo paura di dover limitare la celebrazione di questa decima edizione. Invece siamo stati subissati dalle richieste di iscrizione.
Pur concedendo che la gratuità è sicuramente un valore (non so fino a quando riusciremo a mantenerla), avere cinquemila e passa ragazzi che da ogni parte d’Italia chiedono di partecipare, è un forte segnale di consenso nei confronti del Festival.
Negli anni precedenti, una certa aura di limpidezza ce la siamo conquistata e constatare che molti concorsi nazionali desiderano iscrivere d’ufficio il loro vincitore, è di per sé un riconoscimento di valore e immagine.
Poi le strutture, gli impianti, i palchi e il pubblico, presente e appassionato a tutte le selezioni, hanno fatto la differenza.
Ogni anno ci ha portato qualcosa, artisti, affetti, amicizie, che in questa occasione avevamo voglia di riavere con noi.
Per questo abbiamo pensato al “TALENTO dei TALENTI” una gara tra i vincitori di tutte le categorie delle precedenti edizioni.
E’ stato bello ritrovarli. I giurati, hanno avuto il loro bel da fare. Siamo consci che pur con le Istituzioni didattiche al nostro fianco, le più importanti del territorio, Università, Conservatorio Musicale, Accademia di Belle Arti e teatri prestigiosi, non possiamo competere con i miraggi dei Talent Show.
E allora? Direte… cosa è capitato, quale ingrediente può aver pesato a nostro favore? Una teoria ce l’ho: le decine di migliaia di partecipanti ai casting dei reality che promettono miraggi solo a un paio di polli da spennare e poi buttare via, forse hanno capito.
A forza di ripeterglielo una breccia l’abbiamo provocata e chi viene da noi, arriva con un altro spirito, con diversi presupposti.
Non c’è nulla di negativo, né di pessimista nel dire ai giovani come stanno veramente le cose.
Tutti abbiamo dei sogni, viviamo di utopie, di slanci, di voli pindarici e desideriamo difenderli, ma dobbiamo anche essere corazzati e attrezzati nei confronti di ciò che succede nella vita vera. Senza ergerci a guru o a filosofi veggenti, ci stiamo provando.
I nostri genitori per noi speravano in un futuro migliore del loro e ci hanno riempito, così come i parroci e i maestri di scuola, di promesse e obiettivi da raggiungere.
Come se la felicità di un individuo dipendesse solo dal traguardo o dal successo. I media hanno rincarato la dose e stanno facendo sentire tutti i cosiddetti perdenti… ovvero tutti i secondi, dei falliti.
Al contrario io credo che chiunque possa essere felice se ama ciò che fa e riesce a trasformarlo in una professione. Il senso non è nel traguardo ma nel viaggio.
Conosco tanta gente semplice che ha fatto un lavoro lontano dai riflettori: artigiani, operai, infermieri, meccanici, cuochi… persone che hanno riempito la loro vita di gesti che danno soddisfazione a chi li fa e a chi li riceve.
Per gli artisti, o i creativi in generale, potrebbe sembrare diverso ma non lo è. Solo l’impegno, la tenacia, la capacità di soffrire, di non mollare mai, possono essere determinanti.
Ma non è detto che lo siano per ottenere una supernotorietà. Chi riuscirà ad accettare questa filosofia come un valore, potrà resistere a tutti i no e alle contrarietà senza delusioni.
Altro che fan club dopo cinque minuti che canti, altro che urla sgraziate o smodate dopo un’esibisione. Niente a che vedere con gli applausi esagerati, aizzati dal professionista di uno studio televisivo.
Questo è un modello truffaldino, morto e sepolto. Così come lo sono i tanti nomi di coloro che in passato hanno partecipato ai reality o si sono sentiti garantire in diretta dal conduttore di turno che erano dei fenomeni.
No, la vita dell’artista non è quella e non lo è nemmeno quella dell’… idraulico. Vedete ragazzi, voi che da anni vi iscrivete e partecipate al Festival delle Arti, io devo ringraziarvi.
Non so come farei a capire quello che succede in giro se non foste così emozionati, appassionati e pieni di speranza.
Spesso, dopo le vostre esibizioni, faccio fatica a fare il pompiere. Molti di voi mi entusiasmano e sono contento di non avere diritto di voto. Non sarà un concorso a cambiare la vostra vita. Non sarà un secondo o terzo posto a convincervi che avete o non avete qualcosa da dire.
Non saranno giurie di passaggio a scoraggiarvi o a illudervi. Il percorso dell’artista è qualcosa di affascinante e misterioso e nessuno, dico nessuno, avrebbe mai potuto convincere un Vasco Rossi diciottene a cambiare genere o a smettere di cantare.
Partite da questa piccola nota e fate tesoro delle mille contraddizioni che lo show business propone di continuo.
Studiate la storia dei grandi musicisti che l’umanità ci ha regalato, i drammi delle vite sconquassate dei pittori celebri, dell’incomprensione nella quale erano costretti a muoversi geni e inventori, torturati sistematicamente dal potere stagnante e conservatore.
Impegnatevi per voi stessi e non per un’effimera inquadratura televisiva. Cercate dentro di voi e tentate di emozionare chiunque vi sia vicino.
Un parente, un amore o un estraneo, non fa differenza. Se riuscirete a scrollarvi di dosso quella mielosa patina che omologa lo squallido perbenismo creativo, vivrete… soffrendo sì, questo ve lo garantisco, ma anche godendo delle piccole grandi scoperte che farete.
Queste mie considerazioni non aboliscono i sogni di vincere un Oscar o di ballare al Bolscioi, ma le eccezionalità nella vita, se sono rare, è meglio che siano meritevoli.
Si può vivere anche con poco, anche con meno… Meno di che? Di quello che propongono i manipolatori della nostra vita, i ciarlatani della notorietà, i sedicenti illusionisti della realtà.
Viaggiamo verso il duemila e dodici. Data che spaventa se la si dice forte, ma questo non conta. Siamo concentrati sulla decima edizione del Festival delle Arti. Non aspettatevi troppo da noi… da voi invece pretendete il massimo.
Con affetto Andrea Mingardi.